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How to Make Your Brain Your Best Friend

A Neuroscientist's Guide to a Healthier, Happier Life

Viviamo in un’epoca in cui la mente è costantemente sollecitata — notifiche, stimoli, informazioni, confronti social. Ma quante volte ci fermiamo davvero a chiederci: sto trattando bene il mio cervello?
La neuroscienziata Rachel Barr, nel suo libro How to Make Your Brain Your Best Friend (2025), propone una prospettiva affascinante: imparare a collaborare con il nostro cervello, invece di ostacolarlo, per vivere in modo più sano, felice e – sì – anche più a lungo.

Barr accompagna il lettore in un viaggio che intreccia neuroscienze, psicologia positiva e vita quotidiana, con consigli pratici per costruire un rapporto più consapevole e gentile con la propria mente. E per chi ha superato i 50 anni, il libro offre anche un messaggio potente: la salute del cervello è la chiave per una longevità piena di energia e lucidità.

Chi è l’autrice

Dr. Rachel Barr è una neuroscienziata specializzata nello studio dell’elettrofisiologia della memoria durante il sonno.
Oltre alla ricerca accademica, è una divulgatrice attivissima su Instagram e TikTok, dove spiega con linguaggio semplice e ironico come funzionano le emozioni, l’attenzione e la mente.
La sua capacità di tradurre concetti neuroscientifici complessi in consigli pratici l’ha resa una delle voci più seguite della nuova generazione di scienziati della mente.

Capitolo 1: Chi comanda davvero? Il cervello dietro le quinte

Rachel Barr parte da un’osservazione semplice ma spiazzante: non siamo così padroni delle nostre scelte come crediamo.
Gran parte dei nostri comportamenti è diretta da processi cerebrali automatici, che avvengono sotto la soglia della consapevolezza. Il cervello, ci ricorda l’autrice, è un organo straordinariamente plastico ma anche facilmente influenzabile. Assorbe tutto ciò a cui lo esponiamo: immagini, parole, emozioni, scroll infiniti.

Per questo, suggerisce Barr, dovremmo trattarlo come un amico da proteggere. Ogni informazione che entra è un seme che può crescere nel nostro inconscio, modificando i nostri pensieri e persino la percezione di noi stessi.
In un’epoca di sovrastimolazione digitale, questa riflessione è particolarmente rilevante per chi ha superato i 50 anni: mantenere la mente lucida e serena significa anche scegliere consapevolmente a cosa esporla.


Capitolo 2: Identità e cervello – chi sei, davvero?

Il libro entra poi in uno dei temi più affascinanti della neuropsicologia: il senso del sé.
Barr spiega che la nostra identità non è un concetto astratto, ma il risultato dell’interazione di varie aree cerebrali, tra cui la corteccia prefrontale mediale (mPFC), che integra le esperienze di vita per costruire una narrazione coerente di chi siamo.

Attraverso un esempio suggestivo, l’autrice paragona un cacciatore paleolitico che indossa una collana di denti (simbolo concreto delle sue esperienze di caccia) a un uomo moderno che sfoggia un orologio costoso.
Nel primo caso, l’identità nasce da esperienze vissute; nel secondo, da simboli vuoti, che il cervello fatica a integrare. Il risultato? Una sorta di corto circuito dell’identità.

Per chi si avvicina all’età matura, questo passaggio è cruciale. Dopo i 50 anni, costruire una vita significativa non significa accumulare status o oggetti, ma coltivare esperienze autentiche, in linea con i propri valori. È così che il cervello mantiene un senso stabile di sé, riducendo lo stress e promuovendo equilibrio emotivo — due fattori chiave per la longevità cognitiva.

Capitolo 3: L’arte della gentilezza verso se stessi

Il terzo capitolo affronta un tema universale: l’autostima. Barr lo riformula in chiave neuroscientifica: la vera forza mentale non nasce dal sentirsi “i migliori”, ma dalla compassione verso se stessi.
Quando parliamo a noi stessi con durezza o disprezzo, il cervello attiva le stesse aree coinvolte nel dolore fisico, come la corteccia cingolata anteriore (ACC).
Al contrario, la self-compassion modifica i circuiti neurali legati alle minacce, riducendo la reattività allo stress e aumentando la resilienza.

Per chi vive la seconda metà della vita, questo consiglio è oro puro. L’invecchiamento, con i suoi inevitabili cambiamenti fisici e sociali, può alimentare un dialogo interiore critico. Ma Barr invita a cambiare tono: parla a te stesso come parleresti a un amico.
Questa semplice abitudine, se praticata ogni giorno, rafforza i circuiti cerebrali della calma e della fiducia, e persino – come mostrano diversi studi – rallenta l’invecchiamento neuronale.

Capitolo 4: La scienza della gioia – perché cercare la “delight”

Durante un periodo difficile della sua vita, Rachel Barr scoprì un antidoto inatteso alla tristezza: la delight, cioè la capacità di provare piccole gioie quotidiane.
Non si tratta di felicità euforica, ma di una forma più sottile e sostenibile di benessere. Fare una passeggiata, bere tè in un bar accogliente, accarezzare un gatto: esperienze semplici che disattivano il cosiddetto negativity bias, la tendenza del cervello a focalizzarsi più sui pericoli che sulle cose positive.

Questo bias era utile ai nostri antenati per sopravvivere, ma oggi ci rende spesso ansiosi e ipervigili.
Imparare a “savor”, cioè a gustare il momento presente, è quindi un vero esercizio di longevità mentale.
Chi pratica la gratitudine e l’attenzione consapevole mostra, secondo ricerche neuroscientifiche, una maggiore attività nella corteccia prefrontale sinistra – area legata all’emozione positiva – e livelli più bassi di cortisolo, l’ormone dello stress.

Per gli over 50, questa lezione è preziosa: allenare il cervello alla gioia è come fare esercizio fisico per la mente.
La felicità non è una condizione da raggiungere, ma una ginnastica quotidiana che tiene in salute i circuiti cerebrali dell’equilibrio e della gratitudine.

Capitolo 5: Muoviti, il cervello ti ringrazierà

Uno dei messaggi più forti del libro è che il cervello ama il movimento.
Barr spiega che, evolutivamente, il nostro sistema nervoso si è sviluppato grazie alla necessità di muoversi. Ogni gesto motorio – correre, camminare, danzare – stimola processi cognitivi complessi e rafforza la memoria.

Numerosi studi confermano che l’attività fisica aumenta la produzione del BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor), una proteina che nutre i neuroni e favorisce la crescita dell’ippocampo, la regione del cervello responsabile dell’apprendimento e della memoria.
Per chi ha superato i 50 anni, mantenere alti i livelli di BDNF significa proteggersi dal declino cognitivo e dalle malattie neurodegenerative.

Barr suggerisce di non cercare la performance, ma la gioia del movimento. Anche una camminata, un giro in bicicletta o una danza improvvisata in salotto attivano i meccanismi della felicità cerebrale.
L’autrice invita a riscoprire la dimensione del gioco: il movimento è libertà, non punizione.
Una prospettiva perfettamente allineata con gli studi sulla longevità attiva, che mostrano come le persone longeve non smettono di muoversi mai — ma lo fanno per piacere, non per dovere.

Capitolo 6: Il cervello e l’infodemia digitale

“Il nostro cervello non è nato per Internet”, scrive Barr, e la frase risuona come un monito contemporaneo.
La continua esposizione a schermi, notifiche e multitasking digitale genera un sovraccarico di informazioni che il cervello non è progettato per gestire.
Quando alterniamo continuamente attività (chat, e-mail, social, video), il filtro attentivo della mente si esaurisce e insorge quella che Barr chiama fatica cognitiva.

Per il pubblico over 50, questa è una trappola quotidiana: cercare di “restare connessi” spesso significa disconnettersi da se stessi.
La neuroscienziata consiglia di concedersi pause regolari ogni 30-90 minuti, evitando di sostituire lo schermo del computer con quello dello smartphone.
Uscire all’aria aperta, fare stretching o semplicemente respirare in silenzio permette al cervello di rigenerarsi e consolidare la memoria.

Ma c’è un passaggio ancora più provocatorio: Barr invita a riscoprire la noia.
In un mondo che demonizza il vuoto, imparare a stare qualche minuto senza stimoli diventa un atto rivoluzionario.
La noia, spiega, è una fucina di creatività: quando la mente si “spegne” per un momento, le reti neurali della default mode network si attivano, aprendo spazi per nuove connessioni e intuizioni.
Ecco perché alcuni dei momenti più geniali della storia – dalla mela di Newton alle sinfonie di Mozart – sono nati proprio durante un’apparente inattività.


Capitolo 7: La ricetta finale – vivere in armonia con il cervello

Nelle ultime pagine, Rachel Barr riassume la sua filosofia in un messaggio semplice ma profondo:
“Quando vivi in armonia con il modo naturale in cui funziona il tuo cervello, senti la differenza.”

In pratica, questo significa:

  • Nutrire l’identità con esperienze reali, non con immagini o status.

  • Parlarsi con gentilezza.

  • Cercare e gustare piccole gioie quotidiane.

  • Muoversi ogni giorno, senza esagerare.

  • Dare al cervello pause vere, lontane dagli schermi.

  • Accogliere la noia come parte del processo creativo.

Queste strategie, oltre a migliorare la qualità della vita, hanno un impatto diretto sulla longevità. La scienza dimostra che ridurre lo stress cronico, promuovere la neuroplasticità e mantenere attivi i circuiti della ricompensa e della curiosità rallenta il declino cerebrale e rafforza la memoria.

Perché leggere questo libro dopo i 50 anni

How to Make Your Brain Your Best Friend è molto più di una guida al benessere mentale: è un invito a diventare partner del proprio cervello, e quindi della propria longevità.
Barr ci ricorda che la mente non è un’entità separata dal corpo, ma un sistema dinamico che si rinnova ogni giorno in base alle nostre scelte.

Per chi ha superato i 50 anni, questo libro è una bussola preziosa per affrontare la seconda parte della vita con lucidità, leggerezza e curiosità.
Significa imparare a rallentare senza fermarsi, a essere indulgenti senza rinunciare alla crescita, a costruire nuove connessioni neurali attraverso esperienze autentiche, movimento e relazioni.

In fondo, la vera amicizia con il cervello è un atto d’amore verso se stessi.
E forse, come suggerisce Barr, è proprio da qui che comincia la longevità mentale: dal trattare la propria mente non come un nemico da controllare, ma come un compagno di viaggio da comprendere e custodire.


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